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DITHERING CITY/LA CITTA' CONFUSA
di Alessandro Verona

Negli ultimi 15-20 anni la città si è trovata al centro di una rinnovata attenzione per le nuove dinamiche che la hanno interessata: i processi di inurbamento, determinati da flussi migratori globali e costanti, hanno favorito la nascita e lo sviluppo continuo di nuove megalopoli, anche in conseguenza a processi di concentramento di capitali che ne hanno determinato lo sviluppo ed il successo.
Assistiamo ad una competizione globale tra città – territorio che si contendono il primato nel mercato globale.
Quando sarà completato tra pochi anni, il Dubai World Central-Al Maktoum International diventerà il più grande aeroporto del mondo con 6 piste, 4 terminal e una capacità annua di 160 milioni di passeggeri e 12 milioni di tonnellate di merci. Nasce così da una idea precisa di conquista della leadership mondiale, lo sviluppo, a partire dal 1992, di questa città, che viene concepita e pianificata utilizzando principi urbanistici “internazionali” : oggi, la lingua parlata prevalente è l’ inglese in quanto solo il venti percento della popolazione è locale. Dopo aver attirato EMC Corporation, Oracle Corporation, Microsoft e IBM , il Dubai knowledge village punta a diventare uno degli hub della conoscenza principali al mondo.
A Dubai la connessione permanente dei sistemi permette agli amministratori pubblici, alle imprese, alle forze dell’ordine e ai gestori di prendere le migliori decisioni sui vari asset quali trasporti e mobilità, sicurezza e sorveglianza, medicina e pronto intervento, logistica e grandi eventi ed energia e utility secondo la visione e la strategia. A proposito di città intelligenti (smart city), tutti gli edifici sono connessi ad una rete dati di controllo che misura costantemente la CO2 prodotta dalla città.
L’ Europa e le città europee, in un contesto storicamente antropizzato, guardano questa esperienza ricca di luci ma anche di ombre, con impotenza tranne per un aspetto che caratterizza lo scenario a noi più vicino. Il tessuto urbano storico ed il paesaggio europeo, a confronto del consumo di suolo cinese, coreano o africano agiscono secondo una naturale vocazione ad arricchire ciò che la storia ci ha consegnato e cioè la stratificazione dei nostri centri urbani. Essa, determinata dalla sovrapposizione nelle varie epoche di fatti urbanistici, infrastrutturali, architettonici e paesaggistici, mostra oggi, la sua capacità di generare edifici-landmark sui quali costruire nuove strategie, a volte tra l’esotico e lo stravagante, di marketing territoriale. Era il 1997 quando venne inaugurata a Bilbao la nuova sede museale della Guggenheim Foundation che avviò la rincorsa alle archistar per firmare le nuove icone delle città emergenti.
Tale approccio rappresenta un processo di costruzione di leadership secondo una nuova etica del pragmatismo.
Ma in realta’, secondo le analisi OCSE, questo aspetto che è il più superficiale in quanto è quello anche a volte più glamour, è il prodotto di un processo più complesso che risulta ineluttabile e necessario. Oggi più che mai ogni città deve capire quale è il proprio DNA per costruire strategie che non siano frutto solo del desiderio.
E’ proprio questa capacità di porre in discussione la propria identità e quella futura che può determinare, secondo Debra Mountford, il successo di una città. Le analisi OCSE comparative tra 12 medie città (Amsterdam, Barcellona, Boston, Brisbane, Cape Town, Amburgo, Manchester, Lione, Nanchino, Oslo, Shenzhen, Zurigo) mostrano come ciascuna stia sviluppando una propria vocazione generando nuove relazioni tra città affini, a partire dal nuovo contesto economico. Per questo motivo oggi e’ necessario riorientare le politiche del territorio a partire da nuove connessioni utili ad interpretare i nuovi trends quali lo sviluppo tecnologico, il commercio e la capacità di attrarre talenti per conquistare la leadership.
Se sapra’ farlo la città metterà al centro delle politiche del futuro l’integrazione tra trasporti, le vocazioni del territorio, del paesaggio, degli investimenti, delle arti e della scienza e dei servizi integrati. Per questo motivo sarà necessario reinterpretare anche il sistema città-regione consapevoli che il cluster (concentrazioni settoriali e geografiche di imprese interconnesse) è un modello che, superando i distretti industriali, è già utilizzato.
Per questo motivo le città che si dimostreranno inclusive, multiculturali ed aperte al cambiamento e che svilupperanno la capacità di costruire relazioni multidisciplinari extraterritoriali si potranno ricavare una posizione nella competizione globale.
Nel rapporto di competitività regionale redatto da Paola Annoni dell’unita’ di Econometria della Commissione europea, per il 2013 Utrecht e la sua regione sono stati al primo posto, confermando la tendenza che la competizione oggi non si gioca più tra stati, nemmeno tra città ma tra sistemi città-territorio /città-regione. I parametri di valutazione che vengono utilizzati sono raggruppati in tre categorie: un primo ambito di base (istituzioni, stabilità macroeconomica, infrastrutture, salute, educazione di base),un secondo legato all’ efficienza (alta formazione e lifelong learning, efficienza del mercato del lavoro, dimensione del business) ed infine un terzo ambito legato all’ innovazione (adeguatezza tecnologica, livello di sofisticazione del business, innovazione).
Tra le componenti di successo di Utrecht e della sua regione, l’ alto grado di accessibilità anche per le caratteristiche infrastrutturali che la pongono al centro di intersezioni ferroviarie europee. Paradossalmente nell’ era digitale, al centro delle politiche strategiche nel futuro, il sistema infrastrutturale, sul quale l’ Italia sconta un ritardo storico, sarà un elemento di successo di un territorio: nel Nord Est la rete ed i collegamenti ferroviari potranno, offrendo sempre più mobilità ai city users, restituire centralità rispetto agli assi Nord/Sud e Est/Ovest dell’ Europa allargata. In particolare le politiche della mobilità ’ saranno utili ad affermare il principio dell’ accessibilità ai servizi ed utile contrapposizione all’ avanzare delle disuguaglianze.

La città che verrà.

Sempre maggiore è l' interesse, per la città e la nuova questione urbana che essa pone. Nelle politiche europee ne tantomeno in quelle nazionali il tema viene affrontato e il "rammendo delle periferie" per gentile concessione del senatore Piano Renzo sembra solo una bella introduzione.
Dentro la crisi, che abbiamo compreso essere non solo economica e finanziaria, ma anche sociale ed istituzionale vengono messi in discussione i principi della democrazia.
Dentro la crisi, attendendo che la fine della caduta libera del PIL desse luogo alla ripresa, ci siamo accorti che l’ occupazione non cresce più e la produzione di beni e servizi si stà ridistribuendo.
Questa ridistribuzione caratterizza anche l’ andamento demografico con i flussi migratori che determinano nuovi equilibri delle popolazioni in rapporto ai territori.
In questo scenario, quali saranno i problemi principali che in futuro le città dovranno affrontare?
Volendo dare una visione generale potremmo dire che cambiamenti climatici ed ambientali, disuguaglianze e mobilità sono gli elementi attorno ai quali si dovrà costruire il futuro della città.
Ma se sui cambiamenti climatici ed ambientali da anni assistiamo alla crisi del modello di governo del territorio adottato, esito di una cultura “neopositivista” novecentesca ed in particolare del dopoguerra, l’ aspetto nuovo che secondo il compianto Bernardo Secchi si è manifestato e che ha offerto l’ occasione di pensare a nuove relazioni attraverso le quali reinterpretare l’ idea di città, è costituito dal tema delle disuguaglianze ed al loro modo di manifestarsi: le disuguaglianze sociali si sono trasformate, complice un approccio urbanistico deterministico e quantitativo ,in disuguaglianze spaziali generando così ingiustizie spaziali.
Per questo motivo, dopo il capitale economico, oltre che al capitale intellettuale ed al capitale sociale dovremo investire anche sul capitale spaziale che vede, tra l’altro, nella dispersione e nella frammentazione una delle caratteristiche specifiche europee.
Il cambio di paradigma nel governo delle città presenta per il futuro una agenda che, a partire dal consumo zero di territorio (negli ultimi cinquant’anni in Italia abbiamo consumato 8mq al secondo), sia in grado di immaginare la città policentrica, restituendo qualità spaziale e quindi sociale alle periferie che, interessate dagli interventi acquisteranno nuova centralità. Ma è lo stesso concetto di periferia che è mutato negli ultimi decenni in quanto parti di città interne come aree dismesse, caserme dismesse o i quartieri residenziali di casette degli anni 50 e 60 si offrono come vuoti urbani in attesa di nuove identità. La necessità di costruire sul costruito, l’ incremento del verde pubblico, il potenziamento del sistema del trasporto pubblico non devono essere frutto di una posizione ideologica che fa riferimento alla decrescita, ma il frutto di una volonta’ di ridare senso e autonomia alle parti che compongono il tessuto urbano nel quale il sistema degli spazi aperti ritornerà ad essere il luogo delle relazioni, così come nei centri storici l’ Italia dei millecinquecento festival ha dimostrato di riutilizzare restituendo senso e nuova vita culturale e sociale al paese.
Bisogna saper guardare anche ad esperienze come quella di Don Antonio Loffredo che in una periferia interna di Napoli come il rione Sanità attraverso la valorizzazione storico ed artistica delle catacombe abbandonate, ed il coinvolgimento dei giovani del quartiere sta costruendo una nuova identità ed un nuovo futuro a quella parte di città sottraendola alla malavita.
Il territorio urbano si presenta così in una forma nuova da esplorare, “foresta urbana” (C.Cipollini) nella quale tracciare nuovi sentieri semantici e metodologici che superino le categorie utilizzate fino ad oggi per il suo governo. Il centro storico si rimetterà in gioco se saprà integrare le politiche di valorizzazione culturale nelle sue diverse forme con l’ offerta formativa e quella turistica, se saprà favorire l’ insediarsi dei nuovi mestieri creativi legati anche all’ artigianato 2.0 ed alla nuova manifattura, se sarà capace di integrare le diverse comunità favorendo anche i servizi per i residenti non esclusi in futuro da nuove forme di pedonalizzazione “permeabile”.
Tuttavia risulta necessario governare la frammentazione per affrontare minori risorse mettendo a rete alcuni servizi come alcune municipalità stanno iniziando a fare.
Si presenta così anche l’ occasione per stabilire nuove forme di relazione tra amministrazioni diverse e comunità che si avvicinano favorendo economie di scala.
Oggi, tuttavia, è necessario avere anche la capacità si superare la dicotomia urban vs. rural.
L’evidenza empirica dimostra che le città non sono “punti” nello spazio: esse esistono ed hanno interazioni complesse all’interno dei territori in quanto vi sono aree funzionali multidimensionali nelle quali la dimensione delle aree funzionali cambia a seconda della funzione che si considera. Il rapporto OCSE esposto da Raffaele Trapasso, dimostra che territori integrati hanno le migliori perfomance in termini di well-being.
In una dimensione territoriale più ampia dovremmo pensare anche il sistema Città-Regione policentrica sia costituito su un partenariato che copra un territorio che si estende ben al di la dei sistemi locali del lavoro. Ci sono complementarietà economiche nella gestione del territorio (pianificazione e produzione), innovazione, trasporto pubblico, ed identità territoriali comuni.
Per questo motivo è necessario promuovere una migliore comprensione delle condizioni socio-economiche nelle città e nelle aree rurali e della loro integrazione, affrontando le sfide territoriali ad una scala che tenga in conto i legami funzionali tra città e aree rurali, incoraggiando l’integrazione delle policy urbane e rurali lavorando per una comune agenda nazionale. Chiarendo gli obiettivi del partenariato e le misure connesse per aumentare l’effetto learning e la partecipazione di attori chiave, sia dalle città sia dalle aree rurali.

Futuro Quotidiano.

Già oggi alcune esperienze ci informano che il futuro si costruisce fissando obbiettivi anche ambiziosi, raggiungibili con metodo, con spostamenti per approssimazioni successive quotidiane applicate alle pratiche. Questo approccio che vede nella dimensione del tempo un partner strategico, è in grado di operare differenze significative negli obbiettivi e nel metodo che si intende costruire ed adottare. Possiamo affermare che, oltre alle questioni legate allo spazio fisico della città nelle sue varie dimensioni e relazioni si afferma un approccio nuovo nelle questioni legate anche alla gestione della città nelle varie articolazioni. Senza una ricerca costante nell’ individuare criticità e superamento delle stesse non è possibile costruire, nella complessità, il nuovo metodo. L’ aspetto della formazione ancora una volta ritorna per la sua capacità di produrre crescita culturale della comunità che genera, in questo modo, comportamenti virtuosi. Il rapporto tra formazione, lavoro e città è quello che determina la prospettiva della Learning City che offre un nuovo modello di apprendimento costante nell’ arco della vita delle persone che si allunga, e della comunità in continua evoluzione. Queste sono, per Norman Longworth , le “Città che imparano” , che vogliono diventare luoghi di apprendimento. Nell’ era digitale, l’accesso ai dati mette nelle condizioni le persone di attivare processi di conoscenza e di gemmazione di nuove identità professionali, se accompagnati e sostenuti da sistemi ed istituti formativi finalizzati alla riconversione dei profili professionali in un mondo che vede nascere nuovi lavori. La conoscenza quindi al centro di un processo di rigenerazione delle città e del tessuto sociale che la compone e la vive. Abbiamo assistito negli ultimi quindici anni in Italia alla rivitalizzazione delle piazze e gli spazi che determinano la straordinaria qualità delle città italiane grazie alla proliferazione dei festivals che hanno riportato le persone nei luoghi della comunità, dove si produce scambio e crescita culturale. Questo processo di riattivazione dei luoghi ha moltiplicato le occasione per ristabilire la coesione sociale così necessaria in questi tempi difficili da comprendere ed affrontare.
Come una sorta di rito collettivo attorno al quale la "comunity" sta costruendo una nuova identità attraverso un processo formativo partecipato, 107 città italiane hanno aderito nel 2013 al programma Zero Waste promosso da Rossano Ercolini , un maestro elementare nel Comune di Capannori in provincia di Lucca , che ha ricevuto da Obama il Golden Environmental Prize per l’ambiente, per essere stato il primo ad essersi dato un obbiettivo ambizioso, Rifiuti Zero per il comune di Capannori 16.000 abitanti per il 2020 . Raggiunto oggi all’ 80 % , questo obbiettivo è maturato nel tempo, dopo che nel 1984 Ercolini aveva iniziato la sua sfida (vinta) contro la realizzazione di un inceneritore. Ecco cosa succede se a scuola vengono proposti in modo efficace modelli intelligenti.
Per questo motivo anche il rapporto tra formazione e città offre l’ occasione di una riflessione.
L’università, ad esempio, porta ricchezza alla città, e non tanto in termini materiali (affitti, bar, ristoranti e discoteche, negozi specializzati), ma perché costruisce capacità, competenze, un clima culturale, reputazione.
Ma come sempre succede nella città la presenza di popolazioni diverse porta conflitti, di vario tipo economico, culturale, di uso degli spazi, fiscali, per l’accesso a beni e servizi e come sempre succede non tutti godono dei vantaggi.
In molti casi l’ Università interviene sul patrimonio immobiliare recuperandolo per fini istituzionali e didattici riqualificando parti di città. In particolare questi edifici destinati alla conoscenza vengono continuamente vissuti per le attività che generano. Diverso è il caso dei Campus chiusi in se stessi e separati dal resto e talvolta anche isolati, o dei centri di ricerca che anziché “contaminare” la città che li ospita vivono di vita propria.
La presenza di un gruppo consistente di intellettuali e la costruzione di un ambiente più aperto e internazionale che anche i festivals ed il comparto culturale contribuiscono a generare, unito alla presenza della popolazione studentesca, a volte anche trasgressiva, fanno bene alla città, in quanto l’ insieme di queste attività innesca processi virtuosi, se si è in grado di costruire una condizione ed uno stile di vita attrattivi al fine di evitare che sia gli studenti che i docenti vivano la dimensione del mordi e fuggi. Le università che esprimono un’idea di futuro, oltre a costruirsi una prospettiva ed una reputazione contribuiscono a rendere più attrattive le città che le ospitano. Per la cronaca nella classifica mondiale i primi venti posti sono occupati da università americane ed inglesi, Bologna è la prima italiana con il n.188.
La ridistribuzione del lavoro e delle risorse e la riduzione dello spreco e dell’ impatto delle attività dell’ uomo sull’ ambiente hanno generato una nuova categoria che è comparsa nell’ era post-consumisitca cioè la sostenibilita’ ambientale.
La memoria collettiva sembra essersi risvegliata a favore del bene comune, complice anche il dominio della iperproliferazione delle immagini e dei contenuti che nell’ ambito della conoscenza, reinventata dalla tecnologia, non distingue più i produttori di conoscenza dai consumatori della stessa.
La sostenibilità sta condizionando anche gli stili di vita. Ci siamo abituati all’ idea che gli oggetti ed anche le forme non debbano necessariamente essere nuove, ma possano esprimere oltre alla funzione anche un sentimento che permette di stabilire rapporti nuovi, relazioni nuove con oggetti che hanno forme vecchie. E’ uno spostamento di senso che ha prodotto parole paradossalmente nuove come riuso, rigenerazione, riutilizzo.
Una nuova cultura dello spazio pubblico esprime anche una nuova estetica che spesso opera per riduzioni e spostamenti di senso, nei quali il contributo dell’ arte pubblica si fonde con l’ arredo urbano e che, con una nuova sensibilità green-oriented, dimostra come la città sia in grado di accogliere le diverse forme ed essere inclusiva e condivisa. La transizione dall’economia industriale a quella postindustriale ha dato luogo alla gentrificazione, il fenomeno di rigenerazione e rinnovamento delle aree urbane sia dal punto di vista sociale che spaziale tipica delle «città globali» che non sono necessariamente megalopoli per la dimensione che raggiungono. Lo sono per la qualità delle relazioni che sanno costruire.

Ma il flusso interpretativo arriva a una rimessa in discussione ed alla costruzione di nuovi scenari anche attraverso la moltitudine di soluzioni proposte per la vita en plein air. Proliferano outdoor design o arredo urbano in una vivace dimensione che non trascura un ossimoro (apparente) piuttosto di moda che sono gli orti urbani. Essi rappresentano una dimensione materiale del nuovo modo di essere che porta con se un insieme di valori concreti e sinceri: la voglia di autodeterminazione del regime anche alimentare che annuncia un altro approccio che si stà manifestando e cioè quello dell’ autocostruzione. La crisi sta liberando le energie creative individuali che con intelligenza hanno avviato nuove pratiche di rigenerazione di prodotto e di recupero della memoria. Non è un caso che in generale la tendenza al “vintage” ci mostri come al giorno d’oggi si possa superare un certo formalismo con la capacità di “mettere insieme” le cose, gli oggetti che recuperano la dimensione affettiva ed emozionale senza imbarazzi confrontandola con la contemporaneità. Questa ibridazione è in grado di rovesciare anche le categorie con le quali solitamente si è abituati a classificare lo spazio. Non esiste più un interno, né un esterno; il classico ritorna nella sua propria dimensione nella quale la dimensione descrittiva e figurativa ricompare insieme ai contenuti informali ed astratti.
Insomma lo spazio pubblico è il luogo del possibile, a condizione che esso sia veramente tale quanto a fruizione. Se una piazza è un parcheggio sulla sua funzione c’è poco da discutere, ma se è uno spazio aperto ed accessibile a tutti ci possono essere mille ragioni per andarci e sarà la sua multifunzionalità l’aspetto che farà di essa il luogo d’incontro di coloro che vi giungono per consumare, vedere gli amici, chiedere l’elemosina, esibirsi in performance artistiche. Il fatto che dello spazio pubblico beneficino attività economiche che hanno una finalità privata non toglie nulla alla fruibilità del luogo, ma ne diversifica semmai le forme di fruizione generando quel miscuglio di attori sociali che danno vitalità agli insediamenti umani. Per valutare la qualità dello spazio pubblico sembra quindi sensato guardare anzitutto alla sua multifunzionalità, che è il veicolo dell’interazione tra diversi attori sociali, piuttosto che al suo essere luogo d’incontro delle diversità delle pratiche sociali.
E in questa prospettiva, il contributo di reintepretazione e di invenzione di nuovi luoghi, che gli eventi culturali dopo i nuovi significati hanno dimostrato di saper generare, è oggi utile per comprendere come ripensare le strategie di trasformazione: oggi molte città vivono una profonda crisi della propria identità che le pone davanti alla costruzione del proprio futuro legato alle nuove vocazioni specifiche.
“DITHERING CITY/CITTA' CONFUSA”, la città che non sa decidere o che impiega troppo tempo nella comprensione della nuova propria identità specifica nella rete globale, nella quale la dimensione temporanea e di sperimentazione sarà sempre più utile per mettere a fuoco le strategie e gli strumenti necessari per rappresentare e mettersi in relazione con i nuovi modelli partecipativi di cittadinanza.
Abbiamo analizzato nei vari aspetti la città ed i nuovi meta-territori che essa ha generato e con i quali sta trasformando le relazioni. Il rapporto tra centro e periferia è oggetto di una continua mutazione. Siamo al definitivo congedo di un intero modello di organizzazione del territorio fondato sulla disposizione i grandi aree specializzate attorno alla città dei residenti e su un flusso alternato di pendolarismo tra la casa ed i luoghi dell’ industria. Lo spazio europeo si manifesta con una impetuosa estensione degli spazi abitati, ma contemporaneamente assistiamo alla ritrazione della presenza umana in alcune parti che compongono il nuovo corpo della città. Oggi la città non si sviluppa più in modo omogeneo per parti ma per singole costruzioni ognuna diversa dall’altra secondo logiche funzionali differenti. Viene delegato a questi nuovi fatti urbani la costruzione di nuovi luoghi, territori e paesaggi quello che la politica dovrebbe saper fare: costruire visioni future radicate nel presente quotidiano.