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Produrre contenuti, produrre luoghi.
di Alessandro Verona

Sempre più il territorio è attraversato e abitato da flussi extraterritoriali, intesi come flussi della cultura della conoscenza, dell’ interpretazione. Maggiore è la capacità di costruire relazioni extraterritoriali, maggiore sarà la capacità di mutazione dell’ identità del processo, della sua capacità di ibridazione. In questo modo si sono creati i presupposti per la ri-attribuzione di senso dei luoghi legata ai nuovi significati. Possiamo dire che tale nuova modalità di governance urbana può produrre i luoghi “nuovi” del sapere, della conoscenza e dell’ incontro. Il superamento della dimensione temporanea dell’ evento ad una dimensione permanente attraverso la produzione di nuovi luoghi perciò fa riferimento alle pratiche di cittadinanza attiva come strumenti di innovazione sociale della governance urbana.
Sono innumerevoli i casi nei quali, la dimensione temporanea delle esperienze sia di carattere espositivo, che di performance o di dibattito, hanno permesso l’ utilizzo di luoghi, a volte anche stravaganti, inutilizzati per tali scopi, generando uno spaesamento, a tratti anche di memoria duchampiana, necessario a rappresentare un nuovo tipo di relazioni tra contenitore e contenuto al fine della costruzione del nuovo significato. Una nuova visione di superamento quindi del dualismo contenitore/contenuto, in quanto contenitore e contenuto confondendosi generano nuovi contesti di pensiero. Da questo punto di vista la dimensione temporanea ha esplorato e sperimentato nuove forme di espressione portando all’ attenzione la necessità di costruire i nuovi luoghi della cultura con strumenti e categorie diversi da quanto successo negli ultimi cinquantanni.
Il governo degli spazi urbani rimane al centro del dibattito riguardante l’innovazione sociale, lo sviluppo locale, le relazioni che s’instaurano tra pubbliche amministrazioni e cittadini e come queste condizionano l’urbanità, intesa come qualità della coesione spaziale e sociale delle città.
La sostenibilità dello sviluppo urbano implica soprattutto una trasformazione delle relazioni sociali in senso democratico, una diversa concezione del valore della partecipazione civica nelle politiche territoriali e l’individuazione delle condizioni economiche, simboliche e spaziali che favoriscono la piena cittadinanza dei diversi gruppi e strati sociali
I nuovi modelli di governance dovranno considerare i cittadini non come semplici destinatari dei servizi ma come soggetti attivi nel trattamento dei problemi collettivi, capaci di aprire nuovi circuiti di potere, consentendo una re-distribuzione dei poteri sociali territoriali. La semplice previsione di spazi di dialogo tra istituzioni e cittadini non sembra più sufficiente rispetto all’innovazione sostanziale del trattamento delle sfide urbane, se l’amministrazione pubblica non li accompagna all’esercizio del ruolo di facilitatore del potenziale insito nei processi già esistenti, attivati da quelle componenti della società civile che, con forme di auto-organizzazione, intercettano bisogni rimasti insoddisfatti.
L’innovazione sociale della governance urbana, deve puntare l’attenzione sui modelli più“alternativi” come alcune esperienze di cittadinanza attiva che connettono pratiche di riuso e rigenerazione anche sociale di spazi urbani con modalità non convenzionali per rivendicare una idea alternativa di città e dei diritti specifici che la caratterizzano. Ne fanno parte le appropriazioni sociali di spazi degradati da parte dei giovani dei centri sociali, comitati cittadini che utilizzano spazi pubblici per creare laboratori di cittadinanza attiva, associazioni che si adoperano nelle periferie sociali, gruppi impegnati in pratiche di risveglio civico attivando strumenti di arte sociale urbana.
Il guerrilla gardening, ad esempio, rivela una nuova forma di reinterpretazione dello spazio della comunità.
Tale spazio (pubblico) appartiene alla cittadinanza che in una dimensione collettiva responsabile ma anche ludica, si esercita ad immaginare nuove identita’, nuove forme, nuove estetiche che costruiscono una dimensione anche sociale sulla quale costruire un diverso rapporto tra cittadino e città, affermando nuove istanze di welfare urbano.
Possiamo individuare condizioni che possono far derivare da queste esperienze d’impegno civico e azione collettiva nuove interazioni, negoziali e cooperative, tra istituzioni e società civile, in modo da innovare le pratiche di governance urbana, creando percorsi di apprendimento reciproco, beni collettivi, ampliamento della sfera pubblica e rigenerazione sostenibile del territorio.
Un particolare aspetto che ha assunto un significato antropologico, sociale ed urbanistico ha a che vedere con il ritorno della dimensione collettiva degli eventi in rapporto all’ uso degli spazi della città. In particolare il luogo specifico della città, la piazza, ha riacquistato il ruolo che le era proprio nella sua originale dimensione di mercato e di scambio. Da luogo dello scambio di merci come il mercato a luogo di scambio delle relazioni e della conoscenza, la piazza ha accolto la nuova dimensione. Non solo la accolta ma è lo stesso spazio che si è modificato rigenerandosi anche nelle funzioni e nelle caratteristiche fisiche. Una sorta di riscatto spaziale che la comunità ha praticato e che ha sperimentato uscendo dalle categorie tradizionali anche nelle funzioni. Ma oltre a una nuova dimensione interpretativa dello spazio, la ricerca di nuove mappe spaziali ha aperto attraverso la dimensione temporanea dei contenuti che lo hanno abitato anche nuovi luoghi. La cittadinanza attiva quindi che rivendica attraverso le proprie attitudini e capacità, una nuova identità indipendente alla quale le Amministrazioni hanno guardato come processo virtuoso in quanto sostenibile, partecipato e nuova forma di rifondazione del senso di una comunità in cerca di una nuova dimensione.
L'architettura aspira, solitamente, ad acquisire caratteristiche durature. Gli architetti che si dedicano ai progetti temporanei, invece, pianificano fin dall'inizio che le loro opere prima o poi spariscano. Soprattutto i progettisti giovani e ambiziosi sembrano sempre più affascinati da questo tipo di applicazione e sperimentazione.
I progetti temporanei sono un laboratorio urbano e l'aspetto affascinante è la possibilità di modificare i luoghi per un breve periodo: migliorare, disturbare, ignorare, rileggere. Malgrado la sparizione di tali progetti in un secondo momento, questi luoghi non saranno mai più come prima. Gli interventi a tempo determinato offrono oltretutto il vantaggio di essere spesso realizzabili con maggiore velocità e minori complicazioni rispetto alle costruzioni classiche, pur riuscendo ad esercitare un fascino ed un impatti assai forti.
Nei periodi di riduzione delle risorse e di problemi ambientali sempre più consistenti, l'aspetto della persistenza acquisisce un significato decisivo per un'architettura che possa essere idonea per il futuro. Anche se sembra paradossale, sono oramai dimostrate le potenzialità per le costruzioni e le installazioni temporanee. L'esperienza mostra che le previsioni per il futuro sono sempre più incerte e che alcune costruzioni risultano obsolete molto prima di quanto si potesse ipotizzare in fase di progettazione.
Anche la qualità dell'architettura temporanea si misura dalla potenza estetica delle concezioni realizzate. Tanto per fare un esempio, l’ idea di costruire un set dove ospitare gli eventi ed i contenuti può svilupparsi con contributi che attingono dall’ estetica televisiva, dalle scenografie teatrali, dalle installazioni artistiche e dall’ exibition design per consegnare una cornice emozionale in grado di vivere l’ esperienza culturale anche come esperienza estetica, magari a volte straniante proprio per il suo volersi riscattare dal grigiore quotidiano. Quando però questo pensiero progettuale esce dagli edifici e trova ospitalità nello spazio pubblico ecco che la dimensione collettiva dell’ esperienza consegna una nuova generazione di arte pubblica, a portata di tutti, accessibile.
Risulta utile il contributo di Maurizio Unali per il portale Treccani alla voce “Architettura effimera” nel quale ci spiega che essa è “un efficace medium per leggere il presente in una prospettiva storica, per comprendere problemi e processi in corso e, infine, per ipotizzare futuri scenari. Nell’interpretazione dei rapidi e continui mutamenti progettuali propri del nostro tempo, il temporaneo, a differenza del ‘duraturo’, può essere considerato tra i primi segnali da ascoltare per interpretare i mutamenti progettuali che il nuovo secolo, con le dinamiche della globalizzazione e del confronto di civiltà, pone alla coscienza d’oggi, e questo per almeno due ragioni:
la prima, di natura teorica e sovratemporale, è riconducibile a ciò che il critico Gillo Dorfles ha definito la ‘coscienza dell’effimero’, ovvero quella nota vocazione dell’effimero che permette al progettista di proporre forme difficilmente ipotizzabili sul versante dell’architettura permanente. Con modi e tempi diversi dall’architettura intesa nella sua espressione più convenzionale, l’effimero può, in poco tempo, allestire spazi sensibili, sperimentare forme e temi, senza il fardello della durabilità. Del resto avrebbe dovuto essere un’architettura temporanea anche il padiglione tedesco presentato all’Esposizione internazionale di Barcellona nel 1929, progettato da Ludwig Mies van der Rohe e divenuto in seguito uno dei manifesti-simbolo del Movimento moderno. Dal punto di vista teorico questo carattere sperimentale è una sorta di invariante storica del progetto effimero, che registra in ‘tempo reale’ fenomeni culturali, economici, mutazioni estetiche, esigenze generazionali ecc., in un modo così diretto da divenire, appunto, un significativo indicatore del tempo che lega, in una prospettiva storica, passato, presente e futuro. Oggi questa ‘coscienza dell’effimero’, ampliata dalle nuove dinamiche socioculturali e dalle continue innovazioni tecnologiche, risulta particolarmente stimolata dalla spiccata dimensione massmediatica della contemporaneità e, in particolare, da un nuovo valore dell’informazione e della comunicazione, che contribuisce a estendere ulteriormente i territori dell’architettura verso scenari ibridi e spettacolari.
La seconda ragione è di tipo contingente e riflette le caratteristiche specifiche della nostra società; in particolare, la struttura dell’esperienza antropologica dello spazio e del tempo, oggi particolarmente affine a tali poetiche. In altre parole, l’attualità del progetto temporaneo è anche l’espressione di una sorta di modus vivendi: dall’insostenibile incertezza degli abitanti del mondo liquido, come direbbe il sociologo Zygmunt Bauman (2007), alla crisi delle ideologie, fino alla mancanza di utopie condivise. Nella popolare percezione di massa gli esempi sono molti e toccano le varie dimensioni della vita associata.
In questo nuovo scenario, l’idea di spazio e di tempo elaborata e percepita dall’uomo sembra quindi favorire e ampliare l’energia contenuta nel concetto stesso di effimero: potente collante transculturale; luogo di rappresentazione di paure, sogni e speranze di più generazioni; spazio elaborativo all’insegna del cosmopolitismo e dell’universalismo; sostanza reale e virtuale, luogo familiare e impalpabile, dimensione dell’esperienza individuale e della società.
Si deve inoltre considerare che il pensiero contemporaneo sembra percepire ed elaborare l’estensione dello spazio e la contrazione del tempo, esplorando concetti quali interattività, immaterialità, evento, spostando così sempre oltre la soglia del reale il limite dell’esperienza materiale. È uno dei passaggi obbligati dalla fase ‘solida’ a quella definita ‘liquida’ della modernità; dalla replicabile sicurezza dello spazio-tempo dell’architettura moderna, alla fluida esperienza performativa del progetto contemporaneo. Da un altro punto di vista, si ha anche la sensazione opposta che lo spazio del globo si restringa paradossalmente, per gli stessi motivi. Si pensi, per es., a fenomeni come la mobilità e la spettacolarizzazione del tempo libero oppure all’ampliamento della sensazione di ubiquità provocato dalla tecnologia.
Le elaborazioni progettuali direttamente e/o indirettamente correlate a queste vocazioni effimere della cultura contemporanea compongono una vasta costellazione di segni che modellano, a molteplici livelli, lo spazio-tempo della nostra esistenza, delineando un filo rosso che lega molti fenomeni. Il carattere innovativo delle poetiche dell’effimero nel primo decennio del 21° sec. risiede principalmente nella trasversalità dei temi trattati e nella visione globalizzante e fortemente interdisciplinare del progetto; laboratorio che tiene insieme, collegandoli, i differenti campi della ricerca e i diversi contesti geografici, linguistici e culturali. Tutti elementi riscontrabili in molte opere contemporanee, in cui i generi si mescolano e vivono nel reciproco dialogo, richiedendo anche una diversa figura di progettista che conosca i new media e le strategie della comunicazione; un progettista altamente specializzato, ma anche capace di dialogare su temi multidisciplinari e, soprattutto, in grado di saper ‘tenere la regia’ di fenomeni complessi. La possibilità di comprendere il mix progettuale dell’evento e di decifrarne gli elementi espressivi, analizzando al contempo la dimensione multimediale della rappresentazione, consente di entrare in quella poetica dimensione del progetto temporaneo che, sia nell’arte sia nell’architettura, genera svolte epocali, amplia linguaggi e configura nuove ipotesi di spazi. Architetture temporanee, a volte itineranti, progettate come ambienti multisensoriali che mettono in scena, in un interessante mixage elaborativo, diversi segni figurativi. Si tratta di un processo progettuale e di un esito rappresentativo situato tra arte e scienza che utilizzano, amplificandole e deformandole, le strategie di diverse discipline per ottenere il massimo effetto espressivo. Progetti che, se ascoltati, narrano i momenti in cui l’architettura amplia l’orizzonte svelando conquiste di senso che tracciano nuove spazialità, territori da abitare per future avventure.
Osservando le più significative elaborazioni progettuali del primo decennio del 21° sec. e ricordando gli spettacolari eventi architettonici che le hanno precedute – tra tutti si cita l’icona mediatica del Guggenheim Museum (1997) di Bilbao di Frank O. Gehry, peraltro, fin dagli anni Sessanta del 20° sec. protagonista dell’‘iperrealismo effimero’, con le sue note poetiche del non finito, del provvisorio e del riscatto dello scarto –, l’effimero sembra essere una delle ‘sostanze’ ricorrenti anche in opere dal carattere permanente. Sostanza non da ‘mescolare’ con le altre, ma sentimento del tempo, espressione dell’epoca.
Nel contesto del modus vivendi precedentemente rilevato, sulla spinta del nuovo valore economico dell’informazione e della comunicazione, sconfitti molti degli stereotipi del moderno, relegata al solo ambito accademico la discussione tra ‘temporaneo’ e ‘duraturo’ – oggetto nel secolo passato di molte speculazioni teoriche –, il progetto effimero è parte attiva dell’estetica contemporanea, è forma visibile dello spirito del nostro tempo, i cui mobili confini sono disegnati e diluiti nella globalità: veloci rappresentazioni di informazioni, oggetti ed eventi; modelli spaziotemporali fluidi, alla ricerca di un’ideale leggerezza immateriale improntata a una forte multisensorialità; ambienti sensibili da consumare nel presente, da fruire in tempo reale e ridisegnare all’infinito nel ricordo”.

Alessandro Verona

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